COMPITI DELLE VACANZE
UN’ESTATE PER I PICCOLI E PER I GRANDI (SECONDA PARTE)
Riprendiamo la riflessione dell’Editoriale scorso sul compito delle vacanze anche per noi adulti, per non sciupare questo tempo di stacco e di riposo. Si tratta di vivere l’esperienza estiva curando al massimo il tempo che abbiamo a disposizione senza nessuna frenesia ma imparando a leggere in profondità le esperienze che le vacanze ci offrono. Infatti, Il mondo, la storia non sono mai muti, casomai siamo noi a essere sordi e da “sordo” viene infatti l’aggettivo “assurdo”, ciò che la vita diventa quando manca di senso. Le vacanze hanno in sé il compito (delle vacanze, appunto) di saper recuperare il senso di tutto quello che normalmente facciamo lungo il corso dell’anno. Nell’editoriale scorso avevamo suggerito un modo intelligente di leggere un libro e anche più libri, quelli per esempio offerti dalle esperienze di vita che facciamo nel periodo estivo.
Ora, un altro esercizio da “compiti delle vacanze” che suggerisco (attraverso libri adatti), è la meditazione, pratica millenaria che ha nutrito il meglio di tutte le culture del mondo e permette di attingere alle due fonti da cui dipende la qualità della nostra vita: il respiro e il desiderio. Al di là delle convinzioni comuni, la meditazione non è solo un esercizio religioso, ma è soprattutto movimento spirituale che permette la profondità e la qualità del nostro quotidiano affinché non sia superficiale o vissuto “come viene”. Il primo, il respiro, è principio di animazione e permette l’accadere dell’ispirazione, dono che la vita fa continuamente se ci alleniamo a ricevere: chi è ispirato è infatti “animato” (dal greco anemos, vento, soffio). Il secondo, il desiderio, è principio d’azione che il mondo pagano chiamava destino e quello cristiano vocazione, è la spinta creativa (progetti) ed erotica (relazioni buone) di cui ognuno di noi è custode.
Meditare ogni giorno per almeno una decina di minuti (che saranno mai sottratti ad un social?), è il modo migliore per permettere a ispirazione e vocazione di accadere, fonti primarie di quella gioia che fa veramente “riposare”. Non far nulla è molto più stancante, perché quello che “riposa” è il senso delle cose: più le cose hanno senso (significato, scopo, destinazione) più noi riposiamo, anche se sono impegnative. Quando ci “manca il respiro” o “il desiderio”, stiamo respirando e desiderando “di seconda mano”, perdiamo la gioia e l’andiamo a cercare dove non è.
Meditare, che per alcuni è addirittura subito esercizio di preghiera (Agostino diceva infatti che pregare è allenare il desiderio), ci consente la presenza del presente, il vero riposo della mente e del corpo, la pienezza traboccante dell’istante. Gran parte della nostra infelicità dipende dall’incapacità di stare nel presente.
È stato calcolato che passiamo quasi la metà del nostro tempo a pensare a ciò che non sta accadendo, con un costo altissimo in termini di ansia e confusione: invece di far esperienza del mondo, combattiamo con dei fantasmi. La mancanza di presenza del e nel presente impedisce l’incontro tra ciò che mi viene dato e ciò che riesco a ricevere, l’ospitalità del quotidiano, senza la quale ci sentiamo sempre fuori posto, in esilio, addirittura ci sentiamo “fuori” (burnout) come appunto si suol dire.
L’estate non è, immediatamente, il tempo dei libri, del mare, della montagna, ma il tempo di far esperienza attraverso i libri, il mare, la montagna: un corpo a corpo che diventa incontro e chiamata. Se i ragazzi e anche noi adulti torneremo dalle vacanze con due o tre domande ben radicate nella carne e qualche accenno di risposta del nostro venire ed essere al mondo, allora ci saremo riposati, altrimenti saremo “stanchi morti”, perché non fare nulla (di sensato) è assimilare il nulla.
Non ci accada, dunque, nei confronti della realtà che ci viene incontro e ci chiama, di essere disattenti neanche un giorno solo, figuriamoci se dovesse succedere per un’estate intera.
UN’ESTATE PER I PICCOLI E PER I GRANDI (PRIMA PARTE)
Non spaventatevi e non preoccupatevi. Anche se la scuola è appena finita e sono solo da un giorno iniziate le vacanze scolastiche e la freschezza dell’oratorio estivo già si gusta, non voglio tediare piccoli e grandi dandovi dei compiti. Voglio solo suggerire a me e a voi un modo per non sciupare questo tempo prezioso dell’estate. Anche il tema dell’oratorio estivo, “toc toc, Io sono con voi tutti i giorni” allude al compito di bussare per attraversare una porta. La porta santa di questo anno santo, la porta della vita che ogni giorno si spalanca davanti a noi e ci chiede di essere vissuta in pienezza senza sciupare nulla di quanto ci viene offerto, ma anzi farne un’opportunità per arricchirsi come persone e come cristiani. La porta simbolo dell’incontro con il Signore Gesù chiama ogni ragazzo e adulto ad oltrepassarla, facendo della prossima estate l’occasione per sapersi amati, sorretti, accompagnati. Come «pellegrini di speranza» ci mettiamo idealmente in viaggio restituendo ai ragazzi e agli adulti il gusto dell’appartenenza a una storia, la bellezza della realtà fatta di riti e di passaggi – pensate anche solo a quella degli anni scolastici o delle tappe religiose segnate dai sacramenti -, del compito della missione di portare davvero la speranza nel mondo a cominciare dalle nostre relazioni di tutti i giorni.
Un compito, dunque, anche in vacanza, anzi, ogni giorno dell’anno, per vivere al meglio tutte le esperienze che ci sono date. Infatti, vivere è sperare di nascere del tutto, ogni giorno un po’; ciò che in ciascuno di noi è abbozzato chiede pieno compimento: per questo usiamo la metafora della chiamata o vocazione, la vita ci interpella, rispondere è il nostro compito. Ma che cosa ci chiede esattamente la vita?
Mentre un animale è guidato dal suo istinto, bussola infallibile per “venire al mondo”, nel caso degli umani abbiamo invece bisogno di “fare esperienza”. Ma oggi il mondo viene a noi attraverso gli schermi, e quindi l’esplorazione e l’esperienza sono in qualche modo rappresentate più che reali e presenti. Questa perdita di “realtà” non è indolore: se non tocco il mondo e non ne sono toccato, ma mi intrattengo solo con le sue immagini, non mi sentirò chiamato da nulla e rimarrò privo di destino.
Per questo per le vacanze potremmo darci qualche “compito”, qualche “esercizio”, qualche “allenamento” per imparare a venire al mondo, cioè, permettere alla vita di chiamarci a nascere ogni volta sempre di più. Le vacanze servono a questo, ad affinare il lavoro che si fa a casa e a scuola, che è trovare risposta alla domanda: “perché sono venuto al mondo?”.
Da questo punto di vista i cosiddetti “compiti delle vacanze” potrebbero essere modi di facilitare l’incontro tra noi e il mondo. Come?
Pensiamo al tempo. Smentendo l’ineluttabilità della frenesia delle nostre giornate, è ciò che più di ogni altra cosa abbiamo a disposizione per nascere del tutto, per portare a compimento ciò che possiamo essere e fare solo noi, e l’estate ce ne offre molto. Inoltre, estate viene da una radice che indica l’ardere, che vorrei tradurre qui in termini di ardore interiore: mettere a fuoco, vivere intensamente, vivere con entusiasmo, potremmo quasi dire: “vivere da Dio”. I ragazzi sono certamente esperti nel vivere così questi mesi! Noi adulti dovremmo imparare da loro, ed evitare di fare delle vacanze un tempo ancora una volta stressante.
Per esempio, vorrei suggerire ai ragazzi ma anche a noi adulti, di leggere dei libri. Qualcuno dirà: che bella scoperta! Si sa che sotto l’ombrellone normalmente si legge qualcosa. Vorrei però suggerire un modo diverso di leggere da come normalmente facciamo e questo può essere particolarmente utile ai ragazzi come metodo di lettura. Infatti, la lettura come è vissuta oggi non porta ad assimilarsi al libro (diventare simili a ciò che si legge), ma ad assimilare il libro (renderlo simile a sé): l’espressione “l’ho divorato” tradisce questo rapporto consumistico. Invece, la lettura per diventare esperienza del mondo (venire al mondo, andargli incontro rischiando, ma accrescendo la nostra umanità) necessita di un altro rapporto con la pagina, non solo passivo ma attivo e creativo. Questo vuol dire chiedere di leggere con una matita in mano per sottolineare, annotare, cerchiare tutto ciò che colpisce e, magari, ricopiarlo su un diario, aggiungendo a quelle parole il motivo per cui ci hanno toccato e ciò che grazie ad esse è nato dentro di noi. Fare esperienza del mondo attraverso un libro non è divorarlo, ma rispondere attivamente alle sue chiamate, lasciarsi mordere da lui, sentirne la ferita o la spinta ad andare avanti e persino oltre. Pensate come tutto questo possa essere particolarmente vero e incisivo quando si leggono testi sacri come la Bibbia.
Il mondo, la storia non sono mai muti, casomai siamo noi a essere sordi e da “sordo” viene infatti l’aggettivo “assurdo”, ciò che la vita diventa quando manca di senso, e quindi di nascita: la parola “morte” non si oppone a “vita”, ma a “nascita”, per non morire dobbiamo continuare a nascere. (continua)