Pagina Iniz. 2025 Maggio LE CASE DI MARIA

LE CASE DI MARIA

LE CASE DI MARIA

Stiamo vivendo e celebrando nella fede e nella preghiera questo mese di maggio dedicato alla Madonna. Desidero offrire, a riguardo, una  riflessione dai toni sereni ma non per questo meno illuminate la nostra fede e il nostro vissuto cristiano. Ci lasciamo guidare da un tema insolito e curioso: le case che Maria ha abitato o in cui è entrata. Tema insolito e curioso ma stimolante perché non ci deve sfuggire il fatto che il cristianesimo non nasce nell’ambito solenne e sacro del tempio, ma in una casa.

La me­moria biblica di Maria si apre con una casa (Lc 1,26-28) dove è un angelo a parlare per primo, e si chiude in una “stanza al piano superiore” (Lc 22,7-12) dove a par­lare sono il vento e il fuoco. Seguendo l’esistenza della Vergine Maria, come un viaggio di casa in casa, l’attenzione si posa sull’umanità di questa donna, sulla sua vita concreta; non sullo straordinario, ma sul feriale e carnale, dove l’umanità di Maria elabora, e ci tra­smette, l’arte del vivere con fede le esperienze di tutti i giorni.

Anche l’immagine di Gesù che ci restituisce il Vangelo non è tanto quella di un frequentatore del tempio, ma piuttosto quella della sua adesione alla quotidianità della vita: strade, campi, lago, case. La casa dove si banchetta, la casa dove si piange, la casa profu­mata d’amicizia a Betania. E’ nella casa di Nazaret, proprio quella della sua famiglia, che Gesù ha appreso la parola più esclu­siva e tipica del suo racconto del volto di Dio: abbà, papà, parola di bambini e non di rabbini, pronunciata nel dialetto del cuore, parola di casa, familiare e domestica.

Ma ora lasciamoci prendere dalla stessa curiosità di Mosè (Es 3,3) che si avvicina al “Roveto ardente” che non si consuma per vedere meglio quel mistero, e anche noi curiosiamo nelle case dove ha abitato Maria per carpirne i misteri che illuminano la nostra fede.

La casa degli inizi
La prima immagine evangelica di Maria è quella di una gio­vane donna in casa propria, in uno spazio appartato in cui è necessario entrare: «l’angelo entrò da lei» (Luca 1,28). Luca la ritrae in un atteggiamento di ascolto stupefatto, primo atteggiamento e servizio da rendere a Dio e agli altri: ascoltare è fare spazio in sé all’al­tro. Maria appare al tempo stesso raccolta e ospitale, proprio come lo è la casa.

L’azione di Dio non si svolge al di fuori della cronaca umana, non costruisce un’altra storia con persone create apposta come in un teatro o in una scena di un film. Entra nel tessuto normale dei giorni e delle esperienze delle persone.

Al tempio Dio preferisce il tempo (è il sesto mese), alla sina­goga la casa, ai candelabri d’oro la cucina, agli orari della litur­gia un momento qualsiasi di un cuore che ascolta. In questa quotidiana umanità non sfugga nemmeno il fatto che il primo episodio della vita di Maria menzionato da Luca è il suo matrimonio con Giuseppe. La ragazza di Nazaret ha già detto il suo primo si, prima ancora che a Dio, all’amore di un uomo. Dentro questo amore Dio vi entra non stravolgendolo ma aprendolo alle dimensioni divine.

Una casa di profeti
«In quei giorni Maria si mise in viaggio in fretta […] ed en­trata nella casa di Zaccaria salutò Elisabetta» (Luca l,39ss). Maria che ha fretta («I sapienti camminano, i giusti corro­no, ma gli innamorati volano»), ci mostra come non si debba smarrire mai la polifo­nia degli affetti, ci ricorda di valorizzare tutte le nostre rela­zioni di amicizia e d’affetto, che sono la cosa più vicina all’infinito quag­giù..

Il Magnificat nasce non nella solitudine, ma in uno spazio di calore, nell’abbraccio di due madri, nella danza dei grembi. Elisabet­ta è la prima profetessa del nuovo testamento e la sua casa è innanzitutto la casa dove si benedice: “benedetta tu” dice l’anziana; e “benedetto il Signore” è la prima parola del sacerdote muto – Zaccaria – che riacquista la parola proprio benedicendo Dio.

Quella dove entra Maria è la casa della lode: «L’anima mia magnifica il Signore». Le due profetesse – Maria e Elisabetta – illuminano con le loro parole due primati: verso Dio il primato della lode, verso i fra­telli il primato della benedizione.

E’ una casa di profeti: Elisabetta è piena dello Spirito Santo; Giovanni, il profeta ancora senza parola, sussulta di gioia, per­ché sente Dio venire non come un dito puntato ma come un passo di danza perché la gioia degli uomini sia piena (Gv 15,11); Zaccaria, poi, è un torrente in piena con il suo cantico, il “Benedictus”.

Il primo ambito della profezia è una casa, non il tempio o la sinagoga; la casa sulla montagna, la casa del vecchio sacerdote su cui erano scesi contemporaneamente il miracolo di una nuova vita e il silenzio.

In quella casa la profezia è un Dio che viene come vita e futuro inaspettati. Non come onnipotenza o eternità o perfezione, ma come colui che presiede a ogni nascita. Un Dio che dà luce e dà alla luce. 

LA CASA DEI DUBBI E DEI SOGNI
«Giuseppe destatosi dal sonno […] prese con sé la sua sposa» (Matteo l,24ss). Giuseppe, mani indurite dal lavoro e cuore intenerito dall’amore e dai sogni, scava spazio in sé per accogliere la madre e il bambino.

Maria lascia la casa del sì detto a Dio ed entra nella casa del sì detto a un amore; lascia la casa di suo padre ed entra nella casa del sognatore che, dopo il tempo dei dubbi e della prova, vivrà ora insieme con lei quella stagione splendida fatta di stupori e di lacrime, di trasalimenti e di dubbi, dove si danno convegno tutte le emozioni e le speranze dell’universo. Quella stagione che illumina il viso, nell’attesa di essere madre e padre. E intanto Maria dà calore a quelle mura, trasforma la casa del falegname in una abitazione calda, curata e accogliente. Ogni gesto compiuto con tutto il cuore porta con sé l’assoluto: la poesia dei piccoli gesti quotidiani, il conservare con cura nel cuore uno sguardo d’amore improvviso, la gioia di un piccolo regalo fatto o ricevuto. Casa degli sposi, dove lo Spirito di Dio sa trasfigurare l’amore umano per renderlo immagine specularmente riflessa di Dio stesso che è amore.

LA CASA DEL PANE
«Ed entrati nella casa, videro il bambino con Maria, sua madre, e prostratisi lo adorarono» (Matteo 2,1ss). Betlemme significa in ebraico “casa del pane”. E del silenzio. Nel racconto evangelico non abbiamo infatti nessuna parola da parte dei protagonisti né di Maria né di Giuseppe. C’è solo un gioco di sguardi. I Magi, poi, vedono il bambino con sua madre e adorano: verbo che nella sua etimologia significa portare una mano alla bocca e tacere. Adorare un bambino! Non un re, un Crocifisso perdonante, un Risorto glorioso, adorano un bambino in braccio a sua madre. Quale lezione misteriosa! L’immenso si chiude in un piccolo d’uomo, l’eterno si abbrevia nel tempo, il tutto nel frammento, la cometa sopra una casa.  In quella casa, anche Dio sa di pane. Non solo perché il suo Figlio si farà pane eucaristico, ma anche perché Dio sceglie la normalità quotidiana della nostra vita nelle sue manifestazioni più vere e più buone: egli è davvero “buono -anzi necessario- come il pane”. Il pane quotidiano diventa addirittura preghiera accorata dei figli verso il Padre (vedi il Padre nostro).

LA CASA DEI TRENT’ANNI
«Partì dunque con loro e tornò a Nazaret, e stava loro sottomesso. Sua madre serbava tutte queste cose nel suo cuore» (Luca2,51ss). Gesù lascia i dottori della legge e va con Maria e Giuseppe, maestri di vita e di preghiera. Lascia coloro che interpretano il Libro e sta con coloro che interpretano la misteriosa lezione dell’esistenza. Casa di Nazaret, casa delle radici profonde, dove si parla al cuore, dove si impara a essere felici oppure no, ad affrontare l’esperienza della vita con profondità oppure superficialmente.

In quella casa Maria nutre il suo bambino di parole e di latte, di carezze e di sogni, di abbandono fiducioso in Dio come lei aveva fatto fin dall’inizio. E Giuseppe scava nel suo intimo e spalanca spazi a quella donna e a quel bambino che, come tutti i bambini porta in sé un inedito, che potrà essere rivelato solo con l’aiuto di un padre che rispetta la sua libertà.

E intanto cresce in umanità, dentro relazioni di fiducia, come tutti i bambini; respirando amore impara la felicità di questa vita, che si pesa sul dare e sul ricevere amore. Impara la cura amorosa per ogni dettaglio di coloro che ami («Neppure un capello del vostro capo andrà perduto» Lc 21,18). E poi l’arte del vivere insieme, l’arte gioiosa di condividere la tavola, dove si alimenta la vita e l’amicizia.

LA CASA DEL VINO
«La madre gli disse: non hanno più vino» (Giovanni 2,1ss). Anche Maria è stata invitata a quella festa di nozze, presso amici o parenti, a Cana. Una casa in festa, per una settimana intera, e Maria tra gli invitati mangia, conversa, ride, canta, danza. Ma è anche attenta a tutto ciò che accade attorno a lei: per prima vede finire il vino, con l’attenzione del cuore amico; sente che ogni crisi e ogni festa la riguardano e allora si allea con la gioia degli invitati e si preoccupa di loro. Amica della gioia e della vita. In quella casa Maria ci aiuta a dipingere una nuova icona di Dio. Lei crede in un Dio felice, che dona il piacere di vivere, il Dio del gioioso amore danzante, che è sotto il segno della festa, del vino, del profumo di Betania, dell’umile e potente gioia di vivere.

LA CASA DI GIOVANNI
«Da quel momento il discepolo la prese nella sua casa.» (Giovanni 19,27). La casa di Giovanni è il luogo dove accogliere colei che ha perduto la parte più preziosa di sé, il proprio figlio. Ogni nostra casa è così: il primo luogo dove ci si prende cura della vita ferita. Che Maria rimasta sola vada in casa di un giovane uomo non è secondo la tradizione ebraica, anzi rompe con la norma comune che imponeva alla donna di andare in casa del maggiore della famiglia di origine. E riappare la novità di Cristo. E vuole estendere a tutti le relazioni calde della famiglia. Maria è consegnata al discepolo, il discepolo è consegnato a Maria, nella ospitalità accogliente della casa, nella reciprocità dello stringersi insieme… Ospitalità è quindi il primo atteggiamento chiesto alla Chiesa nascente, ultima consegna del Cristo morente sulla collina – fuori casa.

LA CASA RIEMPITA DI VENTO
«Venne all’improvviso dal cielo un rombo, come di vento che si abbatte gagliardo, e riempì tutta la casa dove abitava-no» (Atti2,l-4ss). Maria è nell’ultima casa, quella della preghiera e del fuoco. Nella camera alta è Pietro insieme a Maria, non viceversa, è lei il collante della comunità primitiva. Sono insieme, “al piano superiore”, da dove lo sguardo va più lontano, l’orizzonte si apre e il futuro diventa una missione.

Casa aperta sul mondo e sul cielo: ciò che accade in quella casa sarà decisivo per il futuro della Chiesa. Casa della perseveranza (cfr Atti 1,14; 2,42), della virtù umile, non clamorosa, senza effetti speciali, ma cemento solido della comunità; come il cemento della preghiera che non strappa applausi ma edifica mattone su mattone la Chiesa che verrà.

Dalla casa di Nazaret, alla casa di Gerusalemme, la vita di Maria è trascorsa come un crescendo nella polifonia degli affetti e delle relazioni, come un dilatarsi della sua capacità di accogliere, mai sola, mai senza l’altro.

Casa in ebraico si dice bet, come la seconda lettera dell’alfabeto: per la sua funzione e per la stessa forma grafica del segno alfabetico, con tre lati chiusi e uno aperto, la casa è il simbolo stesso dell’accoglienza e del femminile, metafora di Maria di Nazaret, casa di Dio, dove il Misericordioso senza casa ha trovato casa.

LA CASA DELLE NOSTRE CASE
Quanti quadri, quante icone, quanti rosari appesi nelle case dei nostri antenati, dei nostri nonni/e, genitori – magari nelle camere da letto – forse decisamente meno nelle nostre case moderne e un po’ lontane da Dio o almeno da un clima spirituale.

Non possiamo che augurarci che si ritorni a un clima spirituale più intenso nelle nostre case. L’esperienza di Maria è particolarmente illuminante e determinate un clima educativo di cui le nostre famiglie hanno particolarmente bisogno, coltivando la cura della relazione con il Signore anche attraverso l’esperienza della preghiera e del “frequentare” la sua umanità. Queste case dove Maria, la Madre di Gesù, ha abitato o vi è solo passata, ci restituiscono un’immagine del Vangelo che ci racconta di un Dio non più misterioso e lontano, ma di una presenza che manifesta legami di affetto, simpatia, amicizia e soprattutto bellezza e gioia di vivere.

E in fondo il Figlio di Maria, Risorto e vivo, non è venuto per dirci tutto questo? don Maurizio.

LogoComPatorale